mercoledì 6 febbraio 2019

L'AVOCADO: UN VERO ALLEATO PER LA SALUTE



Durante i miei studi in ambito nutrizionale, mi piace scoprire se esistono delle correlazioni tra le proprietà di un alimento in qualità di nutriente ed eventuali proprietà curative nel vasto mondo delle malattie infettive 
La Persea americana, comunemente conosciuta come avocado appartiene alla famiglia delle Lauraceae, ed è una pianta caratterizzata da frutti di notevoli dimensioni (max 1 kg di peso). L’aspetto del frutto è quello di una melanzana, con buccia verde scuro, ruvida al tatto, con polpa di colore giallo. Caratteristico è il grosso e unico seme che ritroviamo all’interno, di colore marrone scuro e di consistenza tale da sembrare di legno. Le proprietà organolettiche ci presentano un frutto con polpa cremosa, e poco dolce, tale da non avere le caratteristiche che usualmente riscontriamo in un frutto. Ciò è dovuto alla sua particolare composizione dal punto di vista nutrizionale che lo rende un alimento completo.



PROPRIETA‘ NUTRIZIONALI

Negli ultimi anni l’avocado ha iniziato ad essere più presente sulle tavole degli italiani, anche se ancora, e parlo da nutrizionista, non sempre è ben accetto quando lo si propone in un piano alimentare bilanciato perchè visto come un frutto poco conosciuto (la pianta richiede un clima tropicale e subtropicale crescendo principalmente in America Centrale). Ma negli ultimi anni la richiesta sul mercato europeo ha portato all’aumento di coltivazioni di piante di avocado in Spagna, Francia ed in Sicilia.

Dal punto di vista nutrizionale, rispetto ad altri frutti, l’avocado ha un contenuto maggiore in grassi (18.3% in grassi monoinsaturi su 23 gr. lipidi totali/100 gr. di prodotto) e in proteine (4.4 gr/100 gr. di prodotto). Tale composizione lo rende il candidato ideale nei piani alimentari chetogenici anche grazie al basso contenuto in carboidrati.

Il suo buon contenuto in fibre (3.3 gr./100 gr. di prodotto) e l’elevato contenuto in acqua (64 gr./100 gr di prodotto) gli conferiscono proprietà benefiche a carico dell’apparato gastrointestinale. In particolar modo aiutando a prevenire fastidiosi episodi di stipsi, aumentando il senso di sazietà e mantenendo un buon equilibrio a carico del microbiota intestinale, fondamentale per contrastare l’instaurarsi di patologie infiammatorie a carico degli enterociti.

Recentissimi studi hanno messo in correlazione eventuali effetti protettivi dell’avocado verso due gravi patologie  croniche infiammatorie intestinali: il morbo di Crohn e la colite ulcerosa. Ulteriori studi saranno necessari ma i primi risultati mostrano incoraggianti effetti benefici che potrebbero rendere questo frutto un buon candidato da utilizzare a supporto della terapia farmacologica in caso di queste patologie.

Osserviamo il contenuto in micronutrienti di cui l’avocado è ricco. Il potassio (450 mg/100 gr. prodotto) è il leader indiscusso che lo rende, grazie anche alla presenza di un elevato contenuto in acqua, un alimento in grado di sostenere l’equilibro idro-salino dell’organismo in condizioni particolari (ipertensione arteriosa, scarso apporto idrico e carenze nutrizionali in età avanzata, sport intenso). A seguire troviamo forforo e calcio.

Ma ciò che rende l’avocado un vero e proprio concentrato multivitaminico è la presenza di elevate quantità di vitamine liposolubili (A, E, C), che gli conferiscono proprietà antiossidanti e protettive contro la formazione die radicali liberi dell’ossigeno, la vitamina K (ben 21 µg/100 gr. di prodotto) e a seguire le vitamine del gruppo B.




COMPOSIZIONE CHIMICA IN MACRONUTRIENTI
VALORE PER 100 gr. DI PRODOTTO
PARTE EDIBILE
76
ENERGIA (kcal)
231
ACQUA (gr)
64
PROTEINE (gr)
4.4
LIPIDI TOTALI (gr) di cui:
23
saturi totali (%)
2.48
monoinsaturi totali (%)
18.33
polinsaturi totali (%)
1.45
COLESTEROLO (mg)
0
CARBOIDRATI (gr)
1.8
FIBRE TOTALI (g)
3.3



COMPOSIZIONE CHIMICA IN MICRONUTRIENTI
VALORE PER 100 gr. DI PRODOTTO
POTASSIO (mg)
450
SODIO (mg)
2
CALCIO (mg)
13
FERRO (mg)
0.6
FOSFORO (mg)
44
TIAMINA o VITAMINA B1 (mg)
0.09
RIBOFLAVINA O VITAMINA B2  (mg)
0.12
NIACINA o VITAMINA B3 (mg)
1.1
VITAMINA A  (µg)
14
VITAMINA C  (mg)
18
VITAMINA E  (mg)
6.4
VITAMINA K  (µg)
21


PROPRIETA' ANTIVIRALI
Ma le innumerevoli proprietà dell’avocado non riguardano solo l’ambito nutrizionale e le patologie correlate ma ci conducono ben oltre. Tra i diversi studi che si possono trovare, un recentissimo studio (Gennaio 2019) pubblicato sull’autorevole rivista Nature ha attratto la mia attenzione da microbiologa. Diversi gruppi di ricerca della città di Taiwan con a capo Yu-Hsuan Wu hanno voluto studiare le potenziali attività antivali dell’avocado verso il Virus Dengue (DENV o virus della febbre emorragica). Pur considerando il fatto che la malattia da virus Dengue non sia endemica nel nostro territorio, ma è considerata una malattia infettiva da importazione (in seguito ai casi che si sono manifestati in Italia, nel 2018 il Ministero della Salute ha messo in atto un Piano Nazionale di sorveglianza e risposta alle arbovirosi trasmesse da zanzare invasive (Aedes sp.), in quanto fondamentale in questi casi è tenere sotto controllo la trasmissione attraverso la sorveglianza entomologica.

Il virus Dengue è un virus a RNA che appartiene alla famiglia dei Flaviviridae, genere Flavivirus ed è la causa di una zoonosi trasmessa all’uomo attraverso la puntura di una zanzara appartenente alla specie Aedes aegypti. Endemica nelle zone tropicali, dove il clima favorisce la riproduzione della zanzara, l’infezione da DENV provoca inizialmente la comparsa di episodi febbrili con picchi elevati, dolori muscolari acuti, cefalea, nausea e vomito. In rari casi può comparire febbre emorragica che può portare anche a morte.

Allo stato attuale non esiste ancora una terapia farmacologica mirata, né tantomeno un vaccino efficace a scopo preventivo, ma si interviene con una terapia antifebbrile e anti-disidratazione, di conseguenza sono all’attivo diversi studi per tentare di arrestare la replicazione virale.

Nel lavoro scientifico sopra citato, si è cercato di comprendere come diverse sostanze naturali estratte dall’avocado potessero essere in grado di contrastare uno dei meccanismi principali messi in atto dal virus per eludere il sistema immunitario dell’ospite: la capacità di interferire con il principale attore dell’immunità innata, l’interferone (IFN).

Tra le sostanze estratte, una in particolar modo, il (2R,4R) -1,2,4-triidrossieptadec-16-yne (THHY), ha mostrato, su modelli in vivo (topi precedentemente infettati da DEN) una spiccata attività anti-virale, principalmente verso il sierotipo 2 (effetto concentrazione-dipendente) e rivelandosi efficace anche nei confronti degli altri tre sierotipi (1 - 4) contrastando la sua azione anti-INF e soprattutto non mostrando alcun effetto citotossico. Questi studi aprono la strada verso la possibilità che sostanze presenti in natura potranno diventare i probabili candidati per la messa a punto di integratori alimentari a supporto di una terapia farmacologica antivirale mirata, soprattutto nelle zone tropicali dove il tasso di infezione da Dengue è più elevato ma anche dove l’avocado è un frutto presente in abbondanza.

                                                                                                           Dott.ssa Mariagrazia Apice

Bibliografia


-          http://www.epicentro.iss.it/febbre-dengue/ Istituto Superiore di Sanità;

-          Joo Young Hong, Kyung-Sook Chung et al. - Anti-Colitic Effects of Ethanol Extract  Persea americana Mill. through Suppression of Pro-Inflammatory Mediators via NF- κB/STAT3 Inactivation in Dextran Sulfate Sodium-Induced Colitis Mice - Int. J. Mol. Sci. 2019, 20, 177;

-          Yu-Ting Kao, Michael M. C. Lai and Chia-Yi Yu - How Dengue Virus Circumvents Innate Immunity - Frontiers in Immunology December 2018 | Volume 9 | Article 2860;

-          Yu-Hsuan Wu, Chin-Kai Tseng - Avocado (Persea americana) fruit extract (2R,4R)-1,2,4 trihydroxyheptadec-16-yne inhibits dengue virus replication via upregulation of NF-κB   dependent induction of antiviral interferon responses – Nature Scientific Reports | (2019) 9:423.






















giovedì 8 marzo 2018

FIBROMIALGIA: LA MALATTIA "IMMAGINARIA"




Fibromialgia, (o sindrome fibromialgica),  è un termine che deriva dal latino " fibra“ (fibra) e dal greco „myo“ (muscolo) e „algos“ (dolore) con il quale si individua una patologia cronica, ad eziologia sconosciuta, caratterizzata da dolore muscolo-scheletrico diffuso e da sintomi extra-scheletrici a carico di numerosi organi e apparati. Il dolore interessa in particolar modo i muscoli e le loro inserzioni tendinee, i legamenti e i tessuti periarticolari. Non è un dolore che colpisce le articolazioni.

UN PO‘ DI STORIA


Il termine fibrosite fu coniato dal fisico britannico Sir William Gowers nel 1904 e non fu cambiato fino al 1976, quando il Dr. Philip Hench introdusse il termine di fibromialgia che significa “dolore nei muscoli”. Molti anni dopo nel 1990 fu ridefinita quale “sindrome di dolore cronico diffuso” dall’American College of Rheumatology (ACR).
Due anni dopo fu inserita dall’Organizzazione Mondiale della Sanità  nel sistema di classificazione delle malattie (ICD-10; 1992). Nel 1994 la fibromialgia viene riconosciuta dall’International Association of the Study of Pain (IASP) come una condizione patologica.



All’origine di tale sindrome contribuirebbero sia fattori biologici (genetica, bassa soglia del dolore, alterazioni neuroendocrine, cambiamenti ormonali, anomalie del sonno) sia fattori psicologici e socioculturali. Inoltre, numerose situazioni ambientali inducenti ansia e stress sono state chiamate in causa come possibili fattori scatenanti la malattia.
Dal punto di vista epidemiologico la sindrome fibromialgica prevale maggiormente nel sesso femminile (80-90%), con un picco nella fascia d’età compreso tra i 30 e i 50 anni e con un rapporto maschi/femmine di 1:9. Questa notevole differenza di genere non ha trovato ancora una risposta ma tra le ipotesi fatte ci sono:
una diversa interazione tra fattori genetici, biologici, psicologici e socio culturali nei due sessi e la presenza di un numero maggiore di punti dolorabili nelle donne, a qualsiasi età rispetto al sesso maschile.


SINTOMATOLOGIA
La fibromialgia è una patologia cronica caratterizzata da dolore muscolo-scheletrico diffuso e da presenza di punti algogeni (tender points) evocabili alla pressione in corrispondenza di specifici
distretti muscolari e tendinei.
Oltre a tale sintomatologia i pazienti descrivono la comparsa di svariati sintomi clinici d’accompagnamento che portano a definirla quale patologia a quadro sintomatologico multiforme.
Per la natura multiforme e per la sovrapposizione con altre sindromi dolorose croniche la diagnosi risulta essere molto difficile.

SINTOMI SPECIFICI:
    dolore;
    astenia;
    turbe del sonno.

SINTOMI ASPECIFICI:
    Ansia e depressione;
    disturbi di concentrazione;
    Sindrome del colon irritabile;
    cefalea;
    dolore toracico;
    sensazione di gambe senza riposo e di gonfiore alle mani;
    bruciore alla minzione.

CRITERI DI CLASSIFICAZIONE


I criteri di classificazione sviluppati dall'ACR nel 1990 si basavano sulla presenza del  dolore diffuso quale sintomo principale per fare diagnosi di sindrome fibromialgica.
Nel 2010 tali criteri vennero implementati introducendo i sintomi extra-scheletrici (disturbi del sonno, ansia, depressione, disturbi di concentrazione).
Nel 2011 i criteri sono stati modificati fino all'introduzione delle ultime modifiche (2016) utilizzate ancora oggi.  La revisione del 2016 ha richiesto la valutazione di almeno quattro quadranti del corpo, assegnando per ognuno un punteggio di gravità dei sintomi elevato (>9) per una diagnosi di fibromialgia. Questi cambiamenti introducono una maggiore eterogeneità nella diagnosi dei pazienti con fibromialgia, in quanto alcuni possono presentarsi con disagio affettivo elevato e poco dolore muscolare, e altri possono presentare alti livelli di dolore muscolare ed un meno evidente disagio nelle manifestazioni d’affetto e disturbo del sonno meno accentuato.
Negli ultimi anni la ricerca ha cercato di fornire una spiegazione della comparsa della fibromialgia studiando le variazioni di alcuni markers biochimici.
I più indagati sono stati: gli ormoni ipotalamici e i neuropeptidi.
E‘ stato dimostrato come nei soggetti fibromialgici ci sia uno squilibrio tra l’ormone ipotalamico rilasciante l’ormone adrenocorticopropo (ACTH) e i livelli di cortisolo  suggerendo  una  iperreattività  nella risposta  dell’ipofisi in seguito  all’attivazione a livello ipotalamico.
La presenza di alti livelli di anticorpi antiserotoninici e di polimorfismi a carico dei geni che codificano per i trasportatori della serotonina (5-HT) sono stati associati alla presenza della sindrome da stanchezza cronica che più comunemente i pazienti lamentano.
Inoltre sono stati riscontrati alti livelli di interleuchine (IL-6, IL-8, IL-10).
Questi risultati indicano la presenza in questi pazienti di una stretta correlazione tra sistema neurologico, endocrino e immunitario che si traduce nello sviluppo della sensibilizzazione centrale che caratterizza la fibromialgia.
Altre risposte sono state cercate attraverso la valutazione di una possibile predisposizione genetica alla fibromialgia. In un recentissimo studio è stata messa in evidenza la correlazione tra la presenza di alcuni polimorfismi a carico dei geni coinvolti nelle vie serotoninergica, dopaminergica e catecolaminergica e l’eventuale predisposizione allo sviluppo della fibromialgia


FIBROMIALGIA E ALIMENTAZIONE
Essendo la sindrome fibromialgica una patologia cronica con una sintomatologia multifattoriale e con una diagnosi non sempre facile anche per quanto riguarda l’alimentazione non esiste una dieta specifica. Ma con degli accorgimenti adeguati attraverso una correnta alimentazione si possono andare ad alleviare i sintomi in modo tale da migliorare la qualità di vita dei nostri pazienti. Ricordando quanto detto precedentemente sulla presenza di alterazioni a carico del sistema neuroendocrino, del sistema immunitario a favore di un aumento dei processi infiammatori, si può pensare di favorire l’assunzione di alimenti che vadano a ridurre tale stato infiammatorio.

Tra gli alimenti consentiti:

-          frutta e verdura di stagione (elevato potere antiossidante e buon apporto di sali minerali);
-          proteine vegetali e animali soprattutto provenienti da carni bianche e da pesce ricco anche in acidi grassi essenziali (omega-3) che favoriscono l’abbassamento del colesterolo LDL;
-          Cereali integrali solo nel caso in cui non ci sia una sintomatologia a livello gastrointestinale.

E‘ importante che il paziente fibromialgico beva molta acqua (no bevande zuccherate) e che riduca la quantità di sale nei cibi in quanto bisogna ridurre al minimo la comparsa di edemi che sono frequenti soprattutto nel paziente fibromialgico obeso.
Limitare il consumo di legumi (soprattutto fagioli e soia) a causa dell’elevato contenuto in lectine (proteine in grado di stimolare fortemente il sistema immunitario ed aumentare il processo infiammatorio a livello sistemico)
Ridurre l’assunzione di zuccheri (soprattutto dolci). A tal proposito uno studio del 2017 ha messo in evidenza come l’assunzione di una dieta low FODMAP (Fermentable Oligosaccharides Disaccharides Monosaccharides And Polyols), in cui vengono eliminati dalla dieta una serie di zuccheri apporti dei benefici nei pazienti fibromialgici soprattutto in presenza di sindrome del colon irritabile. 

Dott.ssa Mariagrazia Apice



BIBLIOGRAFIA

-          F. Fatma Inan and Muhammad B. Yunus. History of fibromyalgia: Past to present - Current Pain and Headache Reports October 2004, Volume 8, Issue 5, pp 369–378
-          Dinesh Kumbhare et all. A narrative review on the difficulties associated with fibromyalgia diagnosis - Ther Adv Musculoskel Dis 2018, Vol. 10(1) 13–26

-          Wolfe F, Smythe HA et all. American College of Rheumatology 1990 criteria for the classification of fibromyalgia - Arthritis Rheum 1990; 33: 160–172

-          Wolfe F, Clauw DJ, Fitzcharles MA, et al. The American College of Rheumatology preliminary diagnostic criteria for fibromyalgia and measurement of symptom severity.- Arthritis Care Res 2010; 62: 600–610.

-          Dong-Jin Park and Shin-Seok Lee. New insights into the genetics of fibromyalgia - Korean J Intern Med 2017;32:984-995

-          Ana Paula Marum et all. A low fermentable oligo-di-mono-saccharides and polyols (FODMAP) diet is a balanced therapy for fibromyalgia with nutritional and symptomatic benefits - Nutr Hosp. 2017; 34(3):667-674


























martedì 16 gennaio 2018

LA MALATTIA DA REFLUSSO GASTROESOFAGEO E L‘ALIMENTAZIONE




La malattia da reflusso gastroesofageo (MRGE) è una condizione clinica caratterizzata da reflusso di contenuto gastroduodenale nell’esofago con comparsa di sintomi in grado di interferire con la qualità della vita. Se la valvola che separa l’esofago dallo stomaco (sfintere esofageo inferiore) non funziona correttamente, il contenuto dello stomaco che si trova nell’addome può risalire lungo l’esofago nel torace.



I sintomi tipici sono:

la pirosi retrosternale (sensazione di bruciore che esordisce in corrispondenza dello stomaco o dalla porzione inferiore del torace e che risale verso il collo) e il rigurgito (percezione di liquido con sapore acido all’interno della cavità orale).



I sintomi meno specifici sono:

la difficoltà digestiva, la disfagia, le eruttazioni, il gonfiore addominale, l’ipersalivazione e il dolore epigastrico,



Una buona percentuale di pazienti riferisce alcune manifestazioni definite “extraesofagee” quali:

asma bronchiale, tosse cronica, faringite, laringite, perdita di smalto dentario, raucedine e dolore toracico non cardiaco.

Il protrarsi della malattia nel tempo può comportare la comparsa di complicanze:

esofagite, ulcera esofagea ed esofago di Barrett (condizione definita come metaplasia in cui le pareti dell’esofago non possiedono più cellule normali ma queste sono sostituite da cellule intestinali);



Errate abitudini dietetico-comportamentali (pasti abbondanti, cibi ricchi di grassi,
caffeina), il fumo di sigaretta, terapie farmacologiche prolungate nel tempo per patologie croniche, gravidanza e obesità possono esacerbare la MRGE.

In particolar modo il sovrappeso, soprattutto se caratterizzato da depositi di grasso
a livello della parete addominale, può avere un ruolo importante nella manifestazione della MRGE. Infatti, l’accumulo di grasso comporta un aumento della pressione all’interno del compartimento addominale e quindi dello stomaco, che tende a spingere il contenuto gastrico verso l’alto oltre a provocare un rallentato svuotamento gastrico.
Naturalmente una corretta diagnosi medica ed un adeguato approccio farmacologico sono alla base della cura dei sintomi della malattia da reflusso. Ma un corretto stile di vita ed una sana alimentazione possono fungere da supporto ai farmaci, per migliorare lo stile di vita del paziente.



E‘ importante quindi seguire alcune semplici regole sia comportamentali che alimentari affinchè lo stile di vita sia migliorato:



-    Masticare lentamente per evitare l’introduzione di aria in eccesso preferendo bocconi piccoli in modo tale da favorire il passaggio di piccole quantità di cibo dall’esofago allo stomaco;

-   Fare pasti piccoli e frequenti in modo tale da favorire lo svuotamento gastrico di ridotte quantità di cibo;

-     Non bere quantità eccessive di liquidi durante l’assunzione del pasto;

-    Evitare di consumare pasti ricchi in cibi ad alto contenuto in grassi (cibi fritti, cibi già pronti, salse ad elevato contenuto di grassi);

-     Evitare il consumo di superalcolici;

-     Consumare cibi ad elevato contenuto di fibre (cereali integrali, verdura, frutta);

-     Prediligere le carni bianche o le carni rosse (taglio magro);

-     Consumare latte e yogurt parzialmente scremati, formaggi a stagionatura breve/media;

-     Evitare il consumo di pesci grassi (salmone, anguilla);

-     Prediligere come condimento l’uso dell’olio extravergine di oliva (a crudo).





Bibliografia:




-     Ü. Dağlı and İ. H. Kalkan – „The role of lifestyle changes in gastroesophageal reflux diseases treatment“ - Turk J Gastroenterol 2017; 28(Suppl 1): S33-S37














lunedì 13 novembre 2017

SEMI DI CHIA: PROPRIETA‘ NUTRIZIONALI ED EFFETTI TERAPEUTICI

Oggi vorrei parlare di un alimento che possiede un altissimo potenziale dal punto di vista nutrizionale e terapeutico ma che ancora non rientra appieno nell’alimentazione quotidiana del nostro Paese. Sto parlando dei semi di chia.
Il nome Chia deriva dal termine spagnolo chian (oleosa). Difatti la pianta, conosciuta più comunemente con il nome di Salvia spagnola, appartiene alla famiglia delle Lamiaceae, genere Salvia, specie Salvia Hispanica. E‘ una pianta che non trova difficoltà nel crescere su diverse tipologie di terreni purchè siano sabbiosi e ben drenati.
Nel passato la Chia ha costituito per millenni il cibo principale nell’era precolombiana di Maya e Aztechi. Oggi i semi di chia rientrano nell’alimentazione quotidiana di paesi quali USA, Giappone, Centro e Sud America ed il loro consumo si sta diffondendo anche in Europa.

COMPOSIZIONE NUTRIZIONALE
Il seme di Chia ha un elevato potere nutrizionale grazie al suo elevato contenuto sia in macronutrienti che in micronutrienti oltre che possedere un adeguato quantitativo in fibre alimentari.

FIBRE

ALIMENTO
FIBRE g./100 g.
CHIA
34,4
SEMI DI LINO
27,3
AMARANTO
6,7
QUINOA
7,0
ARACHIDI
8,5
SOIA
9,6

(US Department of Agriculture 2011)

Dalla tabella è evidente come il contenuto in fibre alimentari dei semi di chia sia di molto superiore a quello di altri alimenti (100 g. di alimento contengono la quantità giornaliera di fibra alimentare raccomandata per la popolazione adulta). Questo rende i semi di chia un buon alimento da consigliare nell’alimentazione soprattutto da introdurre nei piani alimentari dei pazienti diabetici.
Il buon contenuto in fibra solubile (5-10%) forma la mucillagine che rende questo alimento un buon rimedio, assunto sottoforma di decotto per contrastare la stitichezza che può insorgere soprattutto a partire dal secondo trimestre di gravidanza.


PROTEINE                                                                                                                                            
ALIMENTO
CONTENUTO PROTEICO (%)
CHIA
20,70
AVENA
16,89
ORZO
12,48
MAIS
9,42
RISO
6,50

(Ayerza and Coates 2005)

Il contenuto in proteine dei semi di chia è di gran lunga superiore agli altri cereali (il 20,70% in chia contro un 6,50% nel riso) ed è per questo motivo che rappresenta un ottimo alimento da inserire nelle diete per far perdere peso, per mantenere una buona massa muscolare e per non recuperare il peso corporeo perso.

ACIDI GRASSI

I semi di chia presentano un elevato contenuto in acidi grassi polinsaturi così suddivisi: 

-          acido α-3-linolenico o ALA (64%);
-          acido ω-6 linoleico (19%).

Tale composizione dal punto di vista lipidico conferisce loro un‘ elevata funzione cardioprotettiva sia in termini di mantenimento della pressione arteriosa, agendo a livello delle disfunzioni del canale del sodio, che nella protezione della funzionalità cardiaca attraverso l’abbassamento dei livelli di colesterolo nel sangue. 
COMPOSTI ANTIOSSIDANTI

I semi di chia costituiscono un’ottima fonte di composti antiossidanti quali: acido clorogenico, acido caffeico, quercetina e myricetina.

MINERALI

La concentrazione nei semi di chia dei principali minerali, risulta essere di molto superiore a quella presente in altri alimenti quali grano, riso, avena e mais ed é la seguente:

PRINCIPALI MINERALI PRESENTI NEI SEMI DI CHIA  PER 100 G DI PRODOTTO
Calcio
631 mg/100 g
Potassio
407mg/100 g
Magnesio
335 mg/100 g
Fosforo
860 mg/100 g


Tra i numerosi effetti terapeutici dei semi di chia, in un lavoro scientifico del 2013 Segura Campos et al. hanno messo in evidenza come alcuni peptidi bioattivi naturali presenti nella chia siano in grado di manifestare un effetto inibitore sul sistema enzimatico ACE-I permettendo di ipotizzare che potrebbero essere utilizzati quali antiipertensivi naturali in modo tale da evitare i numerosi effetti collaterali che insorgono in seguito ad una prolungata terapia farmacologica. 

Per tutte le proprietà sopra descritte possiamo concludere che i semi di chia sono un ottimo alimento da consumare sia semplicemente sottoforma di semi da aggiungere alle pietanze in un regime alimentare o quale ingrediente utilizzato per la produzione di prodotti quali pasta, biscotti, snack e yogurt in modo tale da apportare quotidianamente il giusto quantitativo di nutrienti.  

FONTI BIBLIOGRAFICHE

-          Rahman Ullah, M. Nadeem et al
Nutritional and therapeutic perspectives of Chia (Salvia hispanica L.): a review
J Food Sci Technol (April 2016) 53(4):1750–1758

-          Segura Campos et al.
Angiotensin I-Converting Enzyme Inhibitory Peptides of Chia (Salvia hispanica) Produced by Enzymatic Hydrolysis
Int J Food Sci. Epub 2013 May 21.